sabato 12 marzo 2011

Certe volte mi viene proprio da vomitare.

I don’t know what’s right and what’s real anymore
I don’t know how I’m meant to feel anymore
When do you think it will all become clear?
‘Cause I’m being taken over by the fear...


Ma sì.
Pensiamo alla festa di stasera. Pensiamo ai vestiti nuovi e allo shopping. Pensiamo al girovita che cala, pensiamo al lavoro che va bene, al ragazzo che mi ama, alla vita fantastica, alle vacanze di pasqua e alle vacanze estive, alla serata alcolica, allo sballo.
Pensiamo a me. Pensiamo a me. Pensiamo a me. Pensiamo a me. Gli altri che muoiano tutti. Pensiamo a me. Pensiamo a me. Pensiamo a me.
Ecco, certe volte mi viene proprio da vomitare. Certe volte mi fate proprio schifo.
Certe volte bisognerebbe davvero crescere e mettere da parte tutto quell'egoismo che abbiamo dentro. Perché ha i denti e divora dal di dentro. Prima o poi ti ritroverai aperto a metà, a guardarti il buco che hai proprio nella pancia, senza renderti conto di come sia successo.

Ti sei accorta vero che non parliamo più? E non parliamo più perché io sono maledettamente stanca di correrti dietro, maledettamente stanca di ascoltarti parlare di te, di te, di te. E che razza di rapporto malato e squilibrato è mai questo? Sì, perché me ne sono accorta, sai? Me ne sono accorta che è sempre stato così. Solo che non volevo ammetterlo. Non ero pronta.
Non che adesso lo sia, ma pensavo davvero che l'ultima volta mi si stesse slogando la mascella, da quanto mi sforzavo di sorridere. Annuivo al momento giusto, dicevo quello che volevi sentirti dire... ma non parlavo. No. Quello no.
La domanda mi ha colpito all'improvviso, bam, un pugno allo stomaco: da quanto tempo è che non parlo davvero? Da quanto tempo è che non mi sforzo di sorridere? Che non mi sforzo di rimanere al passo?
La risposta fa male, colpisce più forte della domanda, sai?
E allora basta così. Forse se le parole muoiono vuol dire che non si ha più niente da dire.
Tieniti la tua vita perfetta. Io mi arrangio con la mia, che di perfetto non ha proprio niente.
Non che a te importi, visto il trasporto con cui ti interessi di quello che sta succedendo alla mia famiglia, o di quello che sta succedendo a me e di quanto sono preoccupata per il Giappone.

Per fortuna che sto imparando a non aspettarti e soprattutto a non aspettarmi niente da te.
Non preoccuparti, continueremo le conversazioni vuote e inutili. Perché io non ho nessuna intenzione di dirti niente di tutto questo. Sono stanca. Stanca. Stanca. Stanca.
Se un giorno ti accorgerai di quello che stai facendo forse parleremo davvero. Forse. Perché potrei anche non averne voglia, sai?

Tre giorni fa pensavo di scrivere un post felice barra ansioso sulla partenza imminente per il Giappone.
Invece no, adesso non c'è niente di felice o allegro e l'ansia si è tramutata tutta in un'altra cosa.
I miei amici stanno bene, questo è l'importante. Mi piange il cuore per quello che vedo in tv, e mi commuovo per come stanno reagendo loro. Penso che avrei potuto essere la anche io e se da una parte sono sollevata dall'altra ho la sindrome della guerra che aveva anche Oriana Fallaci.
Partirò o non partirò, staremo a vedere. Io spero di sì, nonostante tutto. Spero di poter scrivere tra due settimane che me la sto facendo sotto all'idea di non capire un cazzo e di non passare gli esami a scuola. Spero che i problemi insormontabili saranno quelli di usare la metro, o di farmi da mangiare. I problemi insormontabili della quotidianità. La quotidianità senza emergenza nucleare, senza evacuazioni di massa, senza conto dei morti.
Le cose sono tutte pronte, la valigia è aperta, in 20 giorni può succedere di tutto. Anche la fine del mondo.
La cosa importante è saper sempre ricominciare, basta che ce ne sia la possibilità.

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